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Associazione Nazionale Alpini - Gruppo di San Vittore Olona- Via Alfieri - 20028 San Vittore Olona (MI) tel: 3333450040 - sanvittoreolona.milano@ana.it
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Protezione civile





Protezione Civile

 

Tende allestite dalla Protezione Civile.

Intervento ad Alessandria Uno dei primi interventi del Gruppo di San Vittore Olona fu effettuato ad Alessandria in seguito all’esondazione del fi ume Tanaro che causò danni di eccezionale gravità.
La cronaca di quei giorni la si deve al Capogruppo Franco Maggioni che guidò i suoi uomini in quell’intervento: “Domenica 6 novembre 1994, mentre eravamo impegnati nella manifestazione dell’anniversario della Vittoria molti fi umi dell’Italia del nord, e fra questi il Tanaro, stavano scaricando il loro micidiale contenuto nelle campagne e nelle città poste lungo le proprie rive con risultati che defi nire catastrofi ci è limitativo.
La realtà, l’ho potuta vedere pochi giorni dopo quando, allertato dalla Prefettura tramite la nostra Sezione, mi sono unito alla colonna dei volontari partiti alla volta di una delle città maggiormente colpite da quella tremenda forza della natura: Alessandria.
Confesso di essere partito a cuor leggero, forse complici gli organi d’informazione che hanno sottovalutato la reale situazione evitando di presentare immagini che mostravano quanto era stato capace di fare un improvviso straripamento.
Quando mi sono trovato davanti a quelle scene di distruzione mi sono sentito veramente stringere il cuore al pensiero di quale situazione si è trovata ad affrontare quella povera gente.Non penso che delle parole possano descrivere quello che abbiamo visto e soprattutto abbiamo provato davanti a scene di case completamente vuote, senza più mobili, suppellettili e quant’altro costituisce parte integrante della nostra vita di tutti i giorni.
Era la prima volta che mi trovavo ad affrontare una situazione simile, che mi calavo in una realtà per me, come per tanti, completamente nuova ed inattesa e dovunque giravo lo sguardo vedevo situazioni simili nella loro drammaticità e leggevo nello sguardo degli abitanti uno sconforto che mi faceva quasi sentire in colpa per non essere uno di loro.
Ma queste impressioni sono presto state scacciate dalla voglia di lavorare, di fare qualcosa, qualsiasi cosa per aiutarli e così mi sono unito alle migliaia di volontari giunti da ogni parte d’Italia per dare un aiuto concreto e immediato, ed armato di badile e carriola, assieme agli amici della Sezione mi sono messo al lavoro.
Era impressionante vedere la frenesia che animava tutti con lo scopo comune di portare aiuto disinteressato (sembravamo tante formiche) ed in effetti ciò che più mi ha colpito è stata l’enorme partecipazione della gente soprattutto dei giovani con lo slancio e la spontaneità che solo l’età può dare, e questo, come ho detto ad alcuni di loro, dovrebbe insegnare qualcosa a chi parla delle nuove leve come di individui privi di ideali e di altruismo.
Parlare di quanto è stato fatto è superfl uo, basti dire che tutto quello che si trovava al di sotto dei tre metri è stato per giorni sommerso ed al ritiro delle acque uno strato di 40/50 cm. di fango ha coperto tutto e si è infi lato dappertutto con conseguenze immaginabili.

 Intervento ad Alessandria.

E’ stata comunque un’esperienza umana molto importante, che ha lasciato un segno indelebile in chi ha avuto la fortuna di poter essere d’aiuto, tanto che la domenica sera, al rientro a casa, mentre mi infi lavo sotto le coperte fresche di bucato ho provato quasi un senso di colpa al pensiero di chi non aveva più neppure il letto o nel migliore dei casi stava al buio ed al freddo, e la decisione di ritornare laggiù al più presto è stata una cosa naturale.
Dopo qualche giorno sono tornato sul posto con un nuovo gruppo di volontari a continuare il lavoro iniziato ed ho potuto constatare che non eravamo soli. La macchina della solidarietà funzionava e girava al massimo regime anche se il lavoro da fare era ancora immenso e passerà molto tempo prima di considerare conclusa questa esperienza che ha dimostrato come il volontariato sia una realtà che non può e non deve essere sottovalutata perchè è “l’unica” in grado di risolvere simili situazioni di emergenza. Questo grazie, sì ai mezzi, ma soprattutto alla disponibilità ed all’abnegazione di chi si prodiga per gli altri, dalla Croce Rossa alle Pubbliche Assistenze, dalla Caritas agli Alpini, dagli Scouts alle ragazze, quelle splendide, meravigliose ragazze di tante regioni così belle coperte di fango al posto del fard e che sapevano anche destreggiarsi con il secchio in una cantina piena di fango o con un bocchettone normalmente usato per vuotare biologiche: un grazie a tutti per la lezione di solidarietà!
Un ultimo aneddoto: dopo il primo viaggio ho telefonato ad un mio ex compagno di naia abitante nelle zone colpite, e sua moglie dopo avermi rassicurato sulla loro sorte (il paese, Santena, è stato colpito in maniera rilevante) mi ha letto un pezzo del tema che la fi glia di 7 anni ha scritto sull’alluvione nel quale diceva di essere contenta di quello che è successo in quanto ha avuto modo di vedere la gente che si aiutava, sconosciuti che erano andati nel suo paese a dare una mano e tutto questo le pareva bello perché non aveva mai visto nessuno fare questo, insomma nella disgrazia si sono riscoperti i valori dell’altruismo e dell’aiuto al prossimo.
L’unica preoccupazione è che questa situazione ancora tragica non cada nella routine, non si consideri tornata la normalità solo perché la televisione e i giornali non ne parlano più, ma si continui ad essere vicini, con quanto ci è possibile, a questa povera gente che ha bisogno di non sentirsi sola e concludo con una esortazione a quanti magari in un futuro, si spera il più lontano possibile, desiderassero rendersi utili in queste emergenze a farsi avanti perché “aiutare” non è un compito riservato a chi ha aderito al programma della Protezione Civile, ma un dovere civico che deve essere sentito da tutti coloro che possono fare qualcosa.

 

Valona 1999

Dopo cinque anni il Capogruppo vive un’esperienza singolare accettando l’invito del Dipartimento di Protezione Civile per recarsi a Valona, in Albania e partecipare alla costruzione di un campo profughi. La cronaca di quei giorni è dovuta alla penna di Franco Maggioni.
“La telefonata di Polonia, responsabile della Protezione Civile Sezionale, mi raggiunge in uffi cio martedì 20 aprile e la decisione è subito presa anche perché avevo già parlato di questa eventualità sia con i miei superiori che in famiglia, e così la sera, dopo aver fatto la spesa di scatolette che serviranno da pranzo e cena sul posto, preparo lo zaino cercando di farci stare tutto l’occorrente.
La sera prima della partenza le ultime raccomandazioni ai bambini ai quali cerco di far capire quello che vado a fare e perché, e fa piacere sentire da loro che la reputano una cosa giusta.
Giovedì 22, in sede di Sezione a Milano, ritrovo dei partecipanti all’operazione che arrivano alla spicciolata dai vari Gruppi e, mentre ascoltiamo il saluto del Presidente e le raccomandazioni di Polonia, cominciamo ad entrare nell’ottica delle diffi coltà che incontreremo strada facendo: siamo sempre stati abituati infatti ad operare in condizioni di supporto ad altre unità e soprattutto sul nostro territorio, mentre ora l’incognita è rappresentata dalla situazione instabile del Paese che ci ospiterà e dalla fama non sempre rassicurante che lo circonda, ma oramai siamo in ballo.
Molto gradita a tutti è la presenza del nostro Vecio Presidente Rezia che ha voluto venirci a salutare. Arrivati ad Ancona, in attesa di imbarcarci sulla motonave SANSOVINO (ognuno fa le sue considerazioni sul nome e gli Alpini), entriamo nel clima della spedizione facendo conoscenza con gli altri partecipanti provenienti dalle altre Sezioni: Torino (17), Trento (8), Brescia (24), Varese (9), Pisa-Livorno- Lucca (11), Genova (8), Abruzzi (10), Lecco (12), Sondrio (6), Biella (4), Palmanova (8) e Bergamo (3) che con noi 19 di Milano formano la squadra di 139 alpini facenti parte della trasferta.
 

Franco Maggioni
Capogruppo Alpini San Vittore Olona.

A bordo, durante la cena, il clima è da Adunata alpina e ti rendi conto che anche in questa occasione i gruppi sono formati da gente di ogni estrazione sociale, dal medico all’operaio, dal professionista al pensionato e questo ti fa capire, se mai ce ne fosse bisogno, qual’ è la nostra forza ed è anche quello che si cerca di spiegare ai rari viaggiatori che si informano su quei tizi in tuta arancione con uno strano copricapo pennuto.
Dopo cena in cuccetta, e la mattina dopo ci godiamo la traversata osservando le evoluzioni dei delfi ni che accompagnano la nave, nuove raccomandazioni e spiegazioni sui compiti che svolgeremo a Valona (ma andremo veramente lì?) da parte dei responsabili sino alle 11 quando, nel corso di una suggestiva cerimonia, vengono ricordate le oltre 400 vittime perite nel siluramento della motonave GALILEA nel corso della 2° guerra ondiale: tutti giovani dell’8° Alpini del battaglione Gemona imbarcatisi in Albania e diretti in Italia.
E’ un momento di grande commozione mentre ascoltiamo la lettura delle preghiere dell’Alpino e del marinaio diffuse dagli altoparlanti su tutta la nave, mentre il Comandante fa esporre il Gran Pavese, ed un pensiero corre a quei nostri fratelli di sessant’anni fa e all’assurdità di quella e di tutte le altre guerre, mentre il canto SIGNORE DELLE CIME si perde nella scia della nave: penso che raramente venga cantato in mare. E dopo 20 ore di viaggio e due in attesa di sbarco fi nalmente tocchiamo il suolo albanese mentre sulla costa c’è un intenso traffi co di elicotteri che, ci diranno, trasportano i profughi nel campo di KAVAJE vicino a Durazzo.
Finalmente riusciamo a sdoganarci, ed in colonna ci dirigiamo verso il “Florida”, ex caserma della Marina Militare Italiana risalente alla 2° guerra mondiale, trasformato successivamente in albergo, requisito per l’occasione dal nostro Ministero ed adibito a centro di coordinamento del volontariato italibro liano della zona. Rimaniamo sorpresi dalla gran quantità e varietà di mezzi di ogni tipo presenti, in dotazione alle varie Misericordie: e pensare che noi siamo qui con le nostre auto personali!!!
Evidentemente c’è volontariato e volontariato…
Al mattino di sabato 24 sveglia alle 6 (per fortuna: avevano ipotizzato le 4!!) colazione all’alpina con pane e niente e prima doccia fredda: la scorta che ci deve accompagnare a Valona arriverà alle 10. Attesa snervante resa ancora più insopportabile dal sapere che c’è tanto da fare, e mentre i volontari delle Misericordie raggiungono i campi profughi nei dintorni di Durazzo per il loro servizio, ci viene uffi cialmente comunicato (prima erano solo voci) che la nostra destinazione è proprio Valona dove dovremo allestire un nuovo campo per i profughi Kosovari.
Ore 11,30 arrivano due macchine della POLICE: ai mezzi si parte.
Falso allarme, mentre le notizie che arrivano dai campi ci sconfortano: a Kukes migliaia di profughi sono bloccati in attesa che vengano allestiti i campi e noi siamo qui a fare niente!
Alle 13 di colpo, dopo l’intervento del nostro Console e della Dott. Cologgi, che coordina tutte le forze di volontariato italiane presenti in Albania, arriva la tanto agognata scorta: una FIAT UNO senza contrassegni ne’ lampeggiante e fi nalmente la colonna dei nostri 34 automezzi tra auto, furgoni, camion e fuoristrada parte per affrontare il percorso di 130 Km. che separano Durazzo da Valona e che percorreremo in più di 4 ore grazie a strade con buche paurose, ostacoli, auto guidate in maniera pazzesca e pericolosa ed al fatto che bisogna marciare uniti per evitare brutte sorprese.
Con i miei due compagni di viaggio, Mario ed Elio, commento il paesaggio che ci passa davanti: autosaloni a cielo aperto di auto rubate, bambini che vendono di tutto o che pascolano pecore e mucche, fi le di persone che percorrono a piedi la linea ferroviaria come spesso visto alla TV e una interminabile sequela di bunker (ce ne sono più di 800.000 !!!) che il vecchio regime aveva fatto erigere in ogni angolo per difendersi dall’attacco occidentale (noi?).
I nomi ci scorrono davanti e poco a poco diventano familiari: Durazzo, Kavaje, Lushnje, Fier ed infi ne Valona, la città diventata da noi famosa grazie alle immagini televisive degli ultimi tempi e che attraversiamo tra gli sguardi curiosi degli abitanti fi no a raggiungere la nostra destinazione: la vecchia pista dell’aeroporto militare italiano da dove i nostri aerei partivano, durante la guerra, superando

Lavori per l’allestimento del campo in
Albania.

il monte chiamato Mali i Lungare, per attaccare la Grecia. Alle 18 iniziamo a montare le prime tende anche perché da qualche parte dovremo pure dormire e andiamo avanti fi no alle 20,30 alla luce delle pile quando decidiamo di smettere e di metterci qualcosa sotto i denti.

E mentre mangiamo le nostre scatolette in piedi e al buio, ecco che si scatena un violento temporale che ci costringe a ripararci in tenda dove, prima delle 21,30 siamo già a nanna fi no al mattino dopo quando, alle 5, ci dobbiamo alzare per impedire all’acqua di entrare, tenendo ferma la tenda che rischia di venire ribaltata dal vento fortissimo; a quanti si sono accampati fuori dalla pista, sul prato, va ancora peggio: alle 3 si ritrovano completamente sommersi dall’acqua, letteralmente a mollo: erano stati ligi agli ordini ricevuti montando le tende ai bordi della pista e quel che è peggio, entrandovi.
Ma siamo venuti per lavorare e, smoccolando nei vari dialetti, alle 7 iniziamo il montaggio delle tende con le cerate e gli impermeabili che rendono i movimenti impacciati e ti fanno pesare ancora di più il lavoro: si pensi che il solo telo pesa più di 70 Kg.
Oggi 25 aprile, ed un pensiero corre agli amici del Gruppo che stanno partecipando alla manifestazione a casa e a come sarà andata la giornata ecologica organizzata con gli studenti ieri per la pulizia del verde pubblico, mi guardo intorno: montagne di rifi uti di ogni genere e gente che ci sguazza e mi sembra tutto assurdo.
A mezzogiorno si pone il problema del cibo, nel senso che lavorare per undici ore al giorno mangiando scatolette mezzogiorno e sera non è certo utile al buon andamento del lavoro; per fortuna gli alpini di Trento si sono portati una pentola e alcuni quintali di fusilli (che oramai odio) e si prendono l’incarico di sfornare a ritmo continuo, visto il nostro numero, un mestolo di pastasciutta a testa che ti permette di tirare sera quando alle 19 l’avviso del rancio conclude la giornata lavorativa: oggi in 12 ore di lavoro abbiamo montato, ed in parte fi ssate a terra, 240 tende.

Il dopo cena ci vede fare salotto attorno alle tende fi no alle 21,30 quando ci infi liamo nel sacco a pelo anche perché, nel pomeriggio, il generatore ci ha piantato in asso ed il campo è completamente al buio: speriamo che i ragazzi della Polizia di Stato incaricati della sorveglianza ci evitino brutte sorprese.
26 aprile, alle 6 decido che per questa notte il sonno se ne è andato e dopo una rapida colazione siamo già all’opera con la speranza che in giornata vengano resi agibili alcuni servizi igienici e che i Vigili del Fuoco portino la promessa autobotte con l’acqua per potersi lavare un poco, ma avvertiamo da subito che il ritmo non è quello del primo giorno: stanchezza ed insonnia si fanno sentire.
Per giunta si perde diverso tempo spostando tende già montate in altre zone del campo individuate dai geometri ed onestamente l’idea di tutti noi è che sarebbe meglio avere le idee chiare prima di iniziare a lavorare per evitare fatiche inutili e l’accavallarsi di ordini e contrordini.
Questa sera dopo gli immancabili fusilli e tonno (ho variato dieta) chiediamo ai ragazzi della Polizia se ci possono accompagnare a Valona per telefonare a casa e, sorpresa, ci accontentano. Viviamo così la nostra prima libera uscita, seppur scortati, nella città vista così spesso in TV e l’impressione conferma i timori: se non ci fossero i nostri bocia non sarebbe salutare uscire.
All’Alzabandiera al mattino del 27 il Col. Parisotto, responsabile del campo, ci comunica che le tende da montare saranno 800 e non 600 come previsto e che in giornata saprà dirci quando torneremo; ieri sera ho telefonato a casa ai bambini ed onestamente inizio a sentire la nostalgia.
Purtroppo anche stamattina assistiamo al balletto degli ordini e contrordini che ricordano molto la vita di caserma dove tanti comandano e…ma intanto, magari cantando le nostre canzoni, continuiamo a rizzare tende mentre iniziano ad arrivare i primi containers con gli alimentari che serviranno a sfamare i profughi.
Devo accompagnare il nostro vecio Benvenuto in infermeria perché ha dei continui giramenti di testa ed il medico dice che si tratta di disidratazione, fa un caldo bestia ed il sole picchia, deve bere molto e riposarsi, ma non c’è verso di fargliela capire e meno di un ora dopo me lo ritrovo davanti dicendo che se sta fermo si ammala davvero.
Il brutto del primo turno è quello di operare in condizioni di assoluta emergenza senza acqua, luce ecc. adottando soluzioni come il telo attorno al camion dei Vigili del Fuoco dove ci si lava, per evitare che qualche Alpino faccia un’improvvisata doccia con l’idrante vestito solo della propria pelle incurante degli sguardi degli abitanti che proprio insensibili a questo non sono.
Durante il pranzo gira voce che sono quasi terminate le tende da montare e che probabilmente domani si riparte lasciando posto ai servizi, all’ospedale da campo e alle cucine, queste ultime che arrivano nel pomeriggio al seguito della spedizione organizzata dalla Regione Piemonte con uno spiegamento imponente di mezzi di ogni tipo che ci fanno sentire un po’ barboni in questa situazione.
Mentre si lavora abbiamo anche il tempo di guardarci in giro per dare un’occhiata alla vita che si svolge intorno al nostro campo che sta diventando oramai il fulcro della città attirando gente di ogni tipo, dai bambini che frugano nelle montagne di rifi uti create dai buldozer, ai pastori con i loro greggi, a personaggi dall’aspetto certamente poco raccomandabile che attraversano il campo sfrecciando sulle loro Mercedes con aria da padroni.
Prima di sera riesco a mantenere la promessa fatta ai miei fi gli di portare alcuni giochini ai bimbi Kosovari ed è così che nel più puro stile militare, senza scorte ne’ permessi, facciamo una “fuga” al campo “PELLICANO” situato alle porte di Valona dove sono ospitate 2.000 persone quasi tutti bambini e qualche anziano.
Bambini, bambini ovunque, teste rasate che ricordano tanto i fi lmati sui lager, e sono proprio loro che ti fanno venire i lacrimoni quando ti vengono incontro, ti si allacciano alla gamba e ti prendono per mano stringendoti forte, mentre la suora italiana che gestisce il campo ti dice che solo da qualche giorno hanno ripreso a comportarsi da bambini e non da robot, forse cercando di dimenticare quello che hanno visto e subito e non riesci a fare nient’altro che guardarli e vorresti portarteli via tutti per dar loro un po’ della tranquillità che abbiamo noi.
Quello che mi colpisce maggiormente, dopo giorni passati a fronteggiare le richieste dei bambini attorno al campo, è la loro grandissima dignità e quella luce speciale negli occhi, non chiedono ma se ricevono ti ringraziano con un sorriso che ti entra nel cuore e ti chiedi come possano, degli esseri cosiddetti umani, creare tanto dolore a degli innocenti.
Quando ce ne andiamo ci seguono con lo sguardo e hanno pure il coraggio di sorridere, ed in quel momento capisci che le giornate di viaggio, le notti insonni, le lunghe giornate di lavoro, i pasti saltati e la lontananza dalla famiglia passa tutto in secondo piano rispetto alla consapevolezza di aver fatto qualcosa per chi non ha più nulla.
E fi nalmente, dopo la solita cena in piedi, mentre in cielo assistiamo al rifornimento in volo dei caccia, su richiesta dei ragazzi della Polizia ci esibiamo in una serie di cori che, vuoi per la situazione, vuoi per le montagne innevate (2.500 mt.) che fanno da sfondo al campo verso il confi ne greco, producono un particolare effetto in tutti noi.
Unica nota stonata, i volontari della regione Piemonte arrivati nel pomeriggio e super attrezzati, per prima cosa hanno pensato bene di barricarsi letteralmente nella zona fi nale del campo senza nemmeno dire beh!Ci si aspettava sinceramente qualcosa di più da nostri connazionali in terra straniera, perlomeno i bambini albanesi ti dicono ciao!!
E dulcis in fundo, ultima serata con fuga di gruppo in città per un ultima telefonata a casa: seppur senza scorta non era poi così tragico, oppure ci stiamo integrando?
Al rientro al campo indugio davanti alle tende ed ascolto il Col. Parisotto mentre dice ad alcuni Alpini di Brescia che dal Ministero, a Roma, non avrebbero scommesso una lira sul fatto che gli Alpini avrebbero rispettato i tempi fi nendo il lavoro per tempo, beh forse non ci conoscevano o, forse, ci conoscevano troppo…..Penso comunque che avrebbe fatto piacere a tutti
saperlo. Ultima notte da godersi fi no in fondo, sarà l’ultima volta che sentiremo il rombo degli aerei.
Al mattino, dopo l’Alzabandiera, e considerando che non si possono più montare tende per la mancanza di teli, si svolgono gli ultimi lavori come il controllo di tutti i tiranti delle tende stesse, il fi ssaggio a terra e la collocazione nei posti designati.
Il bilancio è comunque positivo: in questi giorni di lavoro abbiamo eretto 616 tende!
Verso le 11,30, terminato il lavoro, facciamo un’ultima puntata al Campo PELLICANO per consegnare i viveri avanzati portati dall’Italia, tutto quanto abbiamo di nostro ed imprimerci un’ultima volta negli occhi e nel cuore i volti dei benefi ciari del nostro lavoro.
C’è chi è partito con maglioni e scarpe ed è tornato senza: tutto peso in meno diceva!
Li salutiamo con lo sguardo mentre gli occhi di tutti sono lucidi. Dopo l’ultima scatoletta sul suolo albanese, Ammainabandiera, discorso di commiato da parte di un commosso Col. Parisotto ed incolonnamento alla volta di Durazzo scortati dai nostri poliziotti non senza l’ultimo brivido provocato da una bomba (per fortuna inerte dirà l’artifi ciere) lasciata da un bambino ai bordi del campo.
E via, alle 14 puntuali, partenza per Durazzo facendo al contrario la strada fatta all’andata e notiamo subito la differenza rispetto a pochi giorni prima: un impressionante spiegamento di mezzi e uomini, militari di diverse nazionalità; evidentemente è successo qualcosa da quando siamo partiti. Altra considerazione durante il viaggio di ritorno riguarda il modo di vivere
completamente diverso tra le città e la campagna: alle discariche a cielo aperto di Valona, ai cumuli di rifi uti dove i bambini sono sempre alla ricerca di qualcosa, alla sporcizia e al caos si alternano, nei paesini, case dignitosamente pulite e verniciate, gente che vende i prodotti della terra e località costiere che, se sfruttate adeguatamente, creerebbero lavoro e benessere.

A Durazzo il caos è incredibile, possiamo vedere nuove ondate di profughi appena arrivati in città prendere d’assalto costruzioni che pensiamo centri di smistamento e anche al porto la situazione non cambia tra mezzi militari che sbarcano e volontari che, terminato il turno, si imbarcano alla volta dell’Italia.
E fi nalmente siamo a bordo e per prima cosa, mentre ancora la gente sale, una bellissima, agognata doccia dopo tanti giorni e pure la cabina anche se di soli 2 mq., sembra una reggia.
Anche la cena alla mensa di bordo, dopo 24 ore di digiuno, contribuisce a ritemprarci, anche se un pensiero corre ancora a quanti, anche oggi, non avranno mangiato nulla. Finalmente alle 22 si salpa non senza essere salito sul ponte più alto per dare un’ultima occhiata a questa povera terra augurandole, dentro di me, di riuscire a risolvere qualcuno dei suoi innumerevoli problemi che vanno ingigantendosi di giorno in giorno anche se appare chiaro che occorre l’aiuto di tutti, pur con la consapevolezza che attualmente noi italiani possiamo dire con giusto orgoglio di essere gli unici a fare qualcosa di concreto per questa gente.
Notte calda, agitata, disturbata anche dal fatto che l’animale alpino (in particolare quello di razza bresciana) quando sente l’aria di casa si eccita particolarmente e quindi alle 6 dopo due ore di: “Arriviamo”, “Siamo a casa”, “Giù dalle brande” ecc. decido di prepararmi alla giornata del rientro e di salire sul ponte scrutando l’orizzonte fi no al fatidico “TERRA”.
Alle 7,45 sbarchiamo a Bari accolti da Vito Peragine, Presidente della Sezione locale a da diversi soci baresi che hanno voluto venire a salutarci anche se, dopo le formalità doganali, ognuno ha fretta di rientrare e così ci rimettiamo in viaggio.
Risalendo l’Italia ho modo di vedere il nostro bellissimo paesaggio, la dolcezza delle nostre campagne e delle coste, l’ordine e la pulizia delle città e sono certo che tutti noi ci riteniamo fortunati di abitare in questa nostra bella terra così come, ne sono certo, da oggi vivrò con uno spirito diverso gli affanni quotidiani che diventano sciocchezze al ricordo di quello che abbiamo visto, ripromettendomi di essere più tollerante.
Durante il viaggio abbiamo modo di incontrare nei vari grill gli Alpini delle altre Sezioni che tornano a casa e ti accorgi che, come aveva detto Polonia alla partenza, questa esperienza ci ha uniti in maniera particolare anche con gente che fi no a 10 giorni fa nemmeno conoscevamo, ma che certamente non dimenticheremo più.
Incrociamo sull’altra corsia, diretti ad Ancona, colonne di aiuti che rifaranno il nostro stesso viaggio e ti rendi conto di essere stato la rotella di un ingranaggio gigantesco in continuo movimento creato per portare aiuto e che ha dimostrato di funzionare alla grande.

Arriviamo a Milano alle 21 ed in Sezione c’è diversa gente ad aspettarci con il Presidente che offre un rinfresco prima di ritornare a casa ad abbracciare la famiglia che, ti accorgi, ti è mancata un sacco.
La televisione mi rimanda fi lmati dell’Albania, dei campi profughi e mi accorgo che quelle non sono più semplici immagini lontane, ma fanno oramai parte di me e che questa esperienza mi ha certamente arricchito.
Più tardi, a letto, pulito e comodo, faccio fatica ad addormentarmi”.

 

Operazione “Lambro pulito”.

Altre iniziative del Gruppo sono state la partecipazione il 17 e 18 marzo 2000 all’operazione “Lambro pulito”, all’operazione di protezione civile in Piemonte nelle zone già duramente colpite dall’alluvione di qualche anno prima e nel mese di luglio del 2002 ad Arcore colpita da una violenta tromba d’aria che aveva scoperchiato moltissime abitazioni.
In quell’anno gli uomini del Gruppo di San Vittore Olona accorsero fra i primi in soccorso delle vittime del grattacielo Pirelli sede degli uffi ci della Regione Lombardia. Tutti abbiamo visto in televisione le immagini delle vetrate infrante e dalla cronaca dell’intervento pubblicata sul Penna Nera stralciamo alcuni brani:“Da togliere il fi ato le due visioni che si sono parate davanti ai nostri occhi sabato 20 aprile quando abbiamo raggiunto e siamo entrati nel 26° piano del Pirellone poche ore dopo il tremendo impatto del piccolo monomotore svizzero che ha centrato il palazzo della Regione provocando morte e distruzione.
La scena era impressionante, quintali di macerie e materiale di uffi cio uniti in un groviglio bruciato, immerso in un odore particolare che ti restava addosso anche una volta uscito dall’edifi cio e, oltre il bordo del pavimento che fi niva nel vuoto, la visione della città con la periferia e, nitidissima, la catena alpina che cinge la pianura padana, con le nostre montagne Grigna, Resegone ecc. a portata di mano.
Ma bando alla poesia, siamo qui per lavorare e si inizia, a fi anco dei Vigili del Fuoco a sgomberare tutto quanto è accatastato sul piano per liberare anche la soletta oramai compromessa da un peso che potrebbe creare ulteriori pericoli, e così per ore a trasportare, a volte con lunghissimi passamano, ferri, macerie, parti di soffi tto, mobili dal 26° , attraverso la scala interna, al 25° piano dove due montacarichi trasportano il tutto al pianterreno dove attendono i container per la raccolta delle masserizie.
Ci capita anche di dover discendere ai piani inferiori (anche a terra) e posso notare come il disastro abbia colpito anche altri piani posti a notevole distanza dal punto di impatto ed il pensiero non può non tornare all’11 settembre con la domanda d’obbligo: “Se questo piccolo velivolo ha causato tanto danno, riusciamo ad immaginare con orrore a quanto può essere accaduto e cosa deve avere passato quella povera gente in quei tragici momenti.”

Devastazione al grattacielo Pirelli Sede della
Regione Lombardia.

Nel corso dello sgombero bisogna anche selezionare, per quanto possibile, i documenti che devono essere riposti in sacchi separati e trasportati al pianterreno dove verranno controllati e si cercherà di ricostruire le varie pratiche, ma anche questo sarà un lavoro che richiederà mesi se non anni.
Quello che lascia sconcertati è la precisione chirurgica con la quale l’aereo si è infi lato nel piano e proseguendo nella sua folle corsa ha centrato il piccolo corridoio tra le due fi le di ascensori per precipitare per 120 metri sulla strada sottostante: si parla di poche decine di centimetri per parte e in tutto questo penso che il destino abbia giocato una parte fondamentale. Nel corso del pomeriggio veniamo fatti sgombrare un paio di volte per questioni di sicurezza in quanto a quell’altezza tira un vento molto forte e pericoloso per noi e per il materiale che rischia ( e a volte ci riesce) di volare di sotto dove a farne le spese è anche il nostro furgone raggiunto da una lastra di vetro che fortunatamente non ha investito persone.
Siamo presenti in una ventina di volontari della nostra Sezione ed il fatto che gli unici chiamati ad operare sin dalle prime ore a fi anco dei Vigili del Fuoco siamo stati noi la dice lunga sulla credibilità oramai acquisita all’interno della Protezione Civile Regionale e questo è frutto della serietà ed impegno dimostrati in numerosi interventi aiutati forse anche dal fatto, rilevato dal coordinatore regionale, che gli Alpini sono gli unici ad avere una forma gerarchica che ci permette di eseguire gli ordini ricevuti riservando i mugugni e le osservazioni ad altri momenti ed impegnandoci ad eseguire il lavoro affi datoci. Ma nel frattempo è arrivata la sera e viene ingabbiato il materiale non ancora rimosso per evitare che durante la notte il vento lo faccia precipitare, quindi discendiamo il grattacielo con l’appuntamento all’indomani mattina all’alba per ricominciare da dove abbiamo interrotto”.

 

 

Cronaca del terremoto in Molise.









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Pubblicato su: 2007-09-12 (1503 letture)

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